Renato Marengo, produttore discografico, saggista, autore radio/televisivo. Gli abbiamo chiesto un intervento su “Punto Zero” progetto discografico durato, con notevole successo, dal 1990 al 1996. Grazie Renato.
Occupandomi “appassionatamente” sin dalla fine degli anni ’60 del rapporto sia rigorosamente artistico che illustrativo tra suono e immagine non potevo non restare affascinato, alcuni decenni dopo, dal progetto Punto Zero di Giulio Tedeschi. La mia prima rubrica fu “L’immagine del Suono”, pubblicata, accanto a quelle di Oliviero Toscani, Gillo Dorfles, Daniela Palazzoli, Oreste del Buono, Piero Berengo Gardin, Per Paolo Preti, Crepax dal 1970 su Popular Photography che, oltre a trattare di grande fotografia e di arte contemporanea, un po’ da vedere e un po’ da sentire , si occupava prevalentemente di copertine di dischi. Della capacità che una copertina ben fatta, soprattutto quelle che arrivavano da Londra e da New York per illustrare il rock e il pop dei primi grandi gruppi internazionali, avesse di farti vedere (o per lo meno intuire) che musica contenessero gli album, anche doppi, anche tripli, che foderavano il vinile di allora, album illustrati da grandi fotografi o da visionari pittori come Roger Dean se non addirittura da personaggi come Andy Warrol o da studi d’avanguardia come Hypnosis. Compito di quelle copertine, di quegli artisti visuali, era quello di farci conoscere , comprendere e prendere contatto attraverso lo sguardo con musiche degli Yes dei Pink Floyd, di Zappa Rolling Stones, Genesis, o da noi, Osanna, Opus Avantra, Orme, BMS e roba simile. Diciamo che l’immagine , per chi ancora non conoscesse ancora i futuri miti del rock aveva un compito “di sfondamento”, di primo impatto. E ci riusciva benissimo. Non c’erano ancora i videoclip, o almeno non erano ancora diffusi come sarebbe avvenuto qualche anno dopo e quindi l’immagine del suono per il grande popolo del rock furono proprio le copertine, Figurarsi il mio stupore, il mio entusiasmo quando, in tempi ormai più consolidati, rockescamente parlando, scopro Punto Zero. L’intuizione di Giulio Tedeschi, per di più fatta per artisti italiani, per gli emergenti, per artisti decisamente underground, indie, alternativi, gente brava per la quale difficilmente qualcuno, soprattutto le major, investiva soldi, di unire in un solo prodotto immagini e non solo, informazioni accurate ai suoni, ai suoni nuovi e quindi presentandoli, illustrandoli, soffermandosi su informazioni, biografie, ogni tipo di notizia utili. Meglio che in un qualsiasi programma radiofonico o televisivo anche se ben fatto. Meglio perché lo scritto, le foto, le illustrazioni di quello che di musicale veniva presentato, servivano ai nuovi artisti alla ricerca di visibilità, di cui si poteva non solo ascoltare la musica ma al contempo vedere e leggere chi e cosa fossero. Un lavoro impagabile per quell’archivio naturale che trova spazio nella memoria degli appassionati di novità e di conoscenza, che va al di là della fama e della popolarità e che si chiama scoperta, anteprima, nuovo. E tutto il nuovo che poteva essere registrato su vinile, ma anche scritto su qualcosa di più di un giornale musicale, divenendo corpo stesso, unità inscindibile dell’oggetto disco, dell’individuo artista. E Punto Zero è stato tutto questo e il suo geniale inventore, Giulio Tedeschi, con la sua inseparabile Toast Records, continua ancor oggi a spaziare, con coraggio e determinazione verso il nuovo, verso, come la nave di Star Trek, nuove frontiere, osando ogni volta là dove nessuno ha mai osato prima, con musica, personaggi inediti, ma soprattutto con modi di approccio comunicativo al di là del disco, al di là del concerto, al di là del video, al di là del consueto.