L’Italia degli anni ottanta sembrava aver raggiunto la pace dei sensi: le tangenti scivolavano via senza colpo ferire, i socialisti galleggiavano, Andreotti era più arzillo che mai, la maggioranza silenziosa, a voce bassa, si preparava al berlusconismo. In settentrione, un certo Bossi, si faceva largo nella “bassa”. Il Sud continuava a sprofondare nelle degenerazioni mafiose di sempre. E Roma? Iniziava ad essere chiamata “ladrona”.
Un panorama imbarazzante che evidenziava ai “pochi” coraggiosi smalizziati la solita italietta sbruffona, smemorata e volta gabbana.
I ragazzi cosa combinavano? Dopo la sbornia degli anni sessanta e settanta, era rimasto ben poco. La via al punk era affogata quasi subito negli slogan piccoli borghesi dei figli di papà con la cresta colorata. La new-wave convinceva di più. Ma era poca cosa. Più estetismi che voglia di cambiare. E la politica giovane? Stava sbiadendo pian piano.
Tra l’85 e il 90, un pugno di “giovinastri” perditempo iniziarono a pensare che era veramente difficile digerire il quotidiano trash italiano. Meglio sognare ad occhi aperti e guardarsi indietro. Verso i magici anni sessanta. Come dargli torto?
Chi li aveva veramente vissuti (i sessanta), manteneva di quel periodo un ricordo incancellabile. Per i ragazzi, invece, tutto si riduceva ad una “visione” sbiadita da trasformare in (pseudo)realtà.
Così, giocando con il pentagramma, si andò a formare una scena neo-sixties ben precisa fatta di decine di bands, di svariate etichette indipendenti, di live scatenati. Toast Records fu in quel periodo una fiera porta bandiera di quel tipo di attitudine: distribuendo, organizzando, producendo. Tra i vari progetti appoggiati, sponsorizzati, scoperti da Toast non possiamo dimenticare, tra i tanti, i No Strange, i Vegetable Men, i Peter Sellers and the Hollywood Party, i primissimi Afterhours. gli Avvoltoi, i Barbieri. Fu una stagione di fuoco che lasciò il segno e rimane indimenticabile non solo in Italia anche se durò neanche un decennio.